di Gianluigi Storto
In ogni famiglia c’è l’esperto di infusi, magari di un infuso particolare di cui egli tramanda e conserva la ricetta familiare che così passa da nonna a nipote. Ognuno di questi esperti, ovviamente, è fermamente convinto che la sua sia la ricetta migliore del mondo ed in genere è del tutto inutile cercare di farlo ragionare a proposito della sua ricetta: nonna faceva così, si è sempre fatto così e amen. E invece capire bene cosa avviene durante (e subito dopo) l’infusione di parti vegetali nei vari solventi, in genere miscele di acqua e alcool etilico, non è per niente facile e comporta l’uso di una buona dose di conoscenze scientifiche.
L’infusione, per dirla facile, è la solubilizzazione di alcune sostanze contenute nei vegetali. Ora le leggi della solubilizzazione non è che siano particolarmente difficili (esistono formule e grafici abbastanza semplici che dicono come procede il processo nel tempo o al cambiare della temperatura). Il problema nasce dalla natura dei vegetali. Perché da una parte dentro ogni parte di un vegetale ci sono decine, centinaia e a volte anche più, tipi di sostanze diverse e dall’altra non esistono due parti di vegetali, per quanto dello stesso tipo botanico, che contengano la stessa quantità (e a volte anche qualità) di sostanze, perché queste dipendono dal luogo di coltivazione, dal tipo di terreno, dal tipo di coltivazione, dalla piovosità, dal momento del raccolto, da come si è trattato o conservato il raccolto, eccetera. Per cui non esistono, da un punto di vista chimico, tanto pe parlar chiaro e per fare un esempio qualunque, due limoni identici!
Le regole della solubilizzazione, quelle generali, sono essenzialmente tre ed appaiono, già a una prima lettura, di assoluto buon senso:
- A parità di temperatura, la quantità di sostanza che passa in soluzione aumenta con il tempo di infusione;
- A parità di tempo di infusione, la quantità di sostanza che passa in soluzione aumenta con la temperatura;
- Esiste un limite di solubilità oltre cui non ha senso aumentare tempo o temperatura di infusione, tanto non se ne scioglie più.
Se per esempio prendiamo la caffeina contenuta nelle foglie di tè, vediamo che a circa 70-80 °C dopo tre minuti si è sciolta tutta, quindi inutile insistere di più.
Ma il problema è, come dicevamo, che in una qualsiasi foglia, o buccia o radice, esistono centinaia di sostanze diverse, ciascuna delle quali avrà una sua “curva” di solubilizzazione differente. Nel caso del tè, per esempio, la caffeina si scioglie tutta dopo tre minuti ma alcuni polifenoli ci mettono meno o più tempo. Quindi a seconda di quando interrompo l’infusione, otterrò una bevanda in cui il rapporto di sostanze (e quindi odore, sapore e proprietà) sarà differente.
Per il limoncello, per esempio, ci sono alcune tradizioni familiari che dicono di lasciare in infusione per una settimana a temperatura ambiente, altre che parlano di un mese… dipende da come gli piace il limoncello!
Alle tre leggi della solubilizzazione, se vogliamo capire un po’ di più gli infusi, dobbiamo aggiungerne qualche altra, anche loro abbastanza generali e di buon senso:
- La quantità di sostanze che si sciolgono a parità di temperatura dipende dalla superficie esposta. Quindi se sminuzzo la parte vegetale, aumentando così la superficie esposta al solvente, abbatto i tempi di infusione;
- Una volta terminato il processo di infusione, le varie sostanze possono reagire fra loro o con il solvente o anche trasformarsi nel tempo (è il famoso tempo di maturazione che c’è nelle ricette più serie!).
Ciò detto, si capisce come sia difficile stabilire quale sia il tempo migliore per ogni infuso…
Per ultimo (lo spazio è tiranno…) occorre aggiungere che ovviamente anche il solvente avrà il suo effetto e siccome in genere si usano soluzioni di acqua e alcool etilico, il rapporto fra queste due sostanze avrà una sua rilevanza importante sulla composizione finale dell’infuso…
Spero di non avervi complicato troppo le idee… J. In quel caso sarebbe consigliabile un buon infuso!