Nel momento in cui il cliente si siede al tavolo, scatta il contratto commerciale con il ristoratore. Tacito ma pieno di regole. Con entrambe le parti chiamate a rispettare precisi impegni, alcuni obbligatori e altri facoltativi, affidati alla discrezione del contraente.
Il cliente è obbligato a pagare il conto e tenere un comportamento consono a un locale pubblico. Volontaria è la mancia, ringraziare il cameriere almeno una volta nel corso del servizio, inviare un complimento allo chef nel caso lo meritasse, evitare le lamentele pretestuose, frenare le richieste eccessive.
Il ristoratore è obbligato a fornire un pasto di qualità proporzionata al conto, in ogni caso gratificante e rispettoso della salute del cliente. Tutto questo è obbligatorio, ma nel caso del gestore anche la gentilezza rientra nel contratto perché strettamente attinente al lavoro. Ebbene, nella convinzione che zucchero non guasti bevanda, molti patron di locali di fascia medio – calcano la mano con la cortesia somministrandola a livelli di over-dose. Ci sono maître che ci accolgono con l’espressione felice e rapita di chi ha appena visto la Madonna, altri scattano sull’attenti come corazzieri, altri ancora si piegano in inchini esagerati. Tranne che il cliente non sia la Madonna, il presidente della repubblica o un samurai, il cliente sarà imbarazzato più che compiaciuto. Disorientate anche l’uso eccessivo e inappropriato del “grazie”. Esempio: mi cade un oggetto dalle mani, il cameriere lo raccoglie e me lo porge dicendomi “Grazie”, mi aiuta a infilarmi il cappotto e mi ringrazia. Ma come? Devo essere io a ringraziare te! Così mi fai sentire un deficiente e uno schiavista! Non si possono capovolgere in questo modo le regole delle buone maniere. E magari quel cameriere è lo stesso che a momenti mi arrota sulle strisce pedonali o mi scavalca nella fila alla cassa del bar.
Camerieri espropriati della loro personalità, con la testa colma di frasette standard stucchevoli imparate a memoria che coprono tutto il possibile range di conversazione con il cliente. Tutte queste esagerazioni sono artificiali per non dire false, e quando entra in gioco la falsità si aprono scenari pericolosi. Il cliente, per esempio, può pensare che se è falso l’atteggiamento del personale, forse anche il cibo non è sincero. Oltre alle parole, anche la pratica del servizio spesso si avventura sopra le righe con l’effetto di indurre più agitazione che relax. Benissimo che il cameriere o il sommelier rabbocchino il vino. Ma non continuamente, non quando il livello del bicchiere si è abbassato di un solo centimetro. Meglio aspettare che il bicchiere sia quasi vuoto prima di riempirlo di nuovo. Per non risultare incombenti, per non interferire troppo nei programmi di un commensale con il proposito di bere poco per motivi di salute o perché dopo deve guidare. Sono altre le cose che fanno felici noi avventori. Per esempio, un cameriere “a portata di vista” da poter chiamare senza difficoltà, capace di descrivere bene un piatto, capace di consigliarci, di risolvere con i fatti e non con i salamelecchi eventuali piccoli problemi, di arrivare veloce come un fulmine con l’occorrente per combattere la macchia di unto sulla cravatta e che, almeno per una volta durante la cena, ci tolga le briciole dal tavolo con quelle deliziose spazzole rotanti.