L’esotico è di moda ormai da tempo, tanto che il vero snob ne ha già preso le distanze votandosi al local più rigoroso. Prima di lanciare strali contro l’invasione di prodotti esotici, però, va ricordato che la patata, il mais, il pomodoro, il peperone, il peperoncino a loro tempo furono cibi esotici. Tutti cibi che dimostrano quanto sia possibile l’assimilazione e la naturalizzazione, visto che sono diventati pilastri della nostra tradizione.
Oggi il cuciniere dispone del mondo. Sta a lui individuare quale ingrediente, benché lontano, sarà capace di ben figurare in un piatto italiano e acclimatarsi nella nostra cucina. Oltre alla sua intrinseca bontà, la prima qualità che deve avere un prodotto esotico è quella di non essere un succedaneo di un prodotto nostrano migliore: va bene usare la curcuma perché economica e ha un ottimo potere antiossidante, ma questo non dovrebbe bastare per preferirla allo zafferano purissimo dell’Aquila in un risotto giallo; la seconda è che sia almeno vagamente compatibile con il gusto italiano, quindi che abbia un minimo di possibilità di carriera nella nostra cucina. Per esempio, lo zenzero tanto di moda e già super-infiltrato in tanti piatti, lega bene con la cucina italiana? Io ho i miei dubbi. Può partecipare a qualche piatto di pollo o di maiale, ma una cosa è una partecipazione saltuaria, un’altra il protagonismo.
A questo proposito non va dimenticato che l’Italia non ha un passato coloniale e la nostra cucina tradizionale ha meno familiarità con i prodotti esotici di quanto ne abbiano Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda e Portogallo. Come dire che forse non ci siamo ancora esercitati abbastanza con la manipolazione dell’esotico.