Martino Ragusa, il Blog

Ricette di cucina, cultura gastronomica e divagazioni

La Grande Tavolata

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Tralasciando le mense preistoriche di Siculi e Sicani, le radici più antiche della Cucina Siciliana sono quelle greche. Greco è l’amore incondizionato per la ricotta e fu proprio l’affetto arcaico per questo latticino a ispirare ai grandi maestri di pasticceria arabi i prototipi degli attuali, celeberrimi dolci a base di ricotta. Le mani islamiche dei mori passarono poi il testimone a quelle cristiane dei Normanni, e queste a quelle consacrate delle suore dei monasteri di clausura, veri centri di sperimentazione dell’arte pasticcera. I risultati finali sono la cassata, i cannoli e una quantità di piccole preparazioni locali (cassateddi, sfingi, cartocci, iris) nelle quali la ricotta è variamente elaborata con cioccolato, cannella, canditi, cacao amaro, liquori, quindi racchiusa dentro a vari tipi di pasta e infine fritta oppure infornata. Greca è anche l’origine dei dolci di mandorle e miele, così come la passione per le olive che in Sicilia non si accontentano del modesto ruolo di stuzzichino, ma diventano ingredienti fondamentali di piatti di carne (cunigghiu a’ stimpirata) di pesce (baccalà fritto con le olive nere, stoccafisso alla ghiotta) oppure conquistano lo status di vero e proprio piatto come nell’insalata di olive verdi con sedano, aglio, prezzemolo, olio e origano (alivi cunzati) o le olive nere fritte con origano, aceto e aglio. Sempre dalla Magna Grecia proviene l’uso dell’origano, diffusissimo nei piatti di tutta la regione e che vi consiglio di gustare nella rianata (origanata) trapanese, una pizza con pomodoro, pecorino, aglio, prezzemolo e tanto, tanto origano.

Agli arabi si deve l’importazione di nuove importantissime coltivazioni: le arance, il riso, lo zafferano e l’uso del sesamo che ancora oggi guarnisce il pane ed è la base dolci come la cubbaita, un torrone di sesamo e miele. Arabo anche il sorbetto di limone, oggi chiamato granita, e quello delizioso al gelsomino. Per queste fresche golosità furono costruite in tutta l’isola (e non solo sull’Etna, come viene solitamente riferito) le neviere, dei magazzini sotterranei idonei alla conservazione della neve fino alla stagione calda. E’ arabo anche il marzapane, la pasta di mandorle che in tempi successivi le monache del convento della Martorana a Palermo elaborarono artisticamente dandogli forma di frutta e ortaggi. Per questo in Sicilia la frutta di marzapane si chiama “martorana”. Alle monache si devono anche gli agnelli pasquali di marzapane ripieni di pasta di pistacchio (opulenta specialità di Favara) oltre a una quantità veramente cospicua di specialità tra le quali ricordo le cucchitelle (biscotti ripieni di zuccata), il cous cous dolce ai pistacchi, le minni di virgini (biscotti ripieni di zuccata e cioccolato a forma di seni) e le ova murina (crépes scure alla mandorla cacao e caffè ripiene di crema biancomangiare).

Con i Normanni e gli Angioini entrarono nell’alimentazione popolare lo stoccafisso, il baccalà, le aringhe affumicate e quelle salate, più una serie di piatti aristocratici francesi che dopo la rivolta dei Vespri del 1282 si diffusero fra la gente comune subendo un’inevitabile volgarizzazione. Di questa epoca è la broscia (brioche) che accompagnerà le granite e verrà riempite di gelato, il rollò (o farsumagru o bruciuluni), il gattò e i fricassé. Di origine francese è anche lo specialissimo affetto per l’aglio.

Grazie all’influenza spagnola, la Sicilia entrò presto in contatto con le novità arrivate dalle Americhe assimilandole velocemente: peperoni, zucche, pomodori, tacchini e quel cacao che ancora a Modica viene lavorato a bassa temperatura, evitando il concaggio, con il risultato di un cioccolato molto simile a quello che consumavano gli Aztechi. Tipiche di tutta la Contea di Modica sono anche le ‘mpanatigghie, ravioli dolci al forno ripieni di cacao amaro e carne di vitello discendenti delle empanadas. Stessa origine hanno le scaccie e le scacciate, prodotti da forno variamente ripieni di ortaggi, formaggi, carni, pesci, uova.
Derivano dalla tortilla le numerosissime frittate preparate di volta in volta con le fave, i piselli, i carciofi, la ricotta di pecora fresca, le patate, i finocchietti selvatici, l’asparagina selvatica e altre verdure di campo. Raramente se ne trovano di migliori nel resto del paese, quindi conviene pensarci bene prima di ritenerle una preparazione banale e declinare l’invito ad assaggiarle. Fra i dolci, l’importazione più importante è quella del Pan di Spagna, quasi mandato dalla provvidenza a fare da supporto alla cassata.
Specialmente su queste basi spagnole, oltre che su quelle francesi del periodo Normanno e Angioino, la cucina baronale del sette-ottocento, infine, ha costruito i suoi sontuosi piatti elaborati fino al barocchismo dai celebri monsù (sicilizzazione di monsieur), i cuochi di origine francese che le famiglie nobili si contendevano persino a colpi di duello. Vere e proprie superstar della gastronomia, i monsù non disdegnavano di istruire, spesso d’intrallazzo e a pagamento, i più modesti “cuochi di paglietta” a servizio presso le famiglie borghesi. Il risultato di questa collaborazione interclassista è stata una cucina raffinata a tutti i livelli sociali, senza una netta distinzione tra cucina nobile, borghese e popolare.

Foto di Vincenzo Costa

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