Riparato dalla premessa sul rischio di apparire retorico, posso lanciarmi nell’impegnativa affermazione che ogni piatto della cucina siciliana è un pezzo di cultura. Sono qui a parlare di cucina, ma mi toccherà citare l’intenso melting pot etnico dal quale tutti noi siciliani discendiamo, così come dovrò disturbare la storia, l’antropologia, il paesaggio, la psicologia e il folklore.
Durante i secoli l’isola è stata conquistata da Greci, Fenici, Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Austro-Borbonici, Piemontesi. E non finisce qui. Perché alle dominazioni politiche si sono affiancate altre influenze meno aggressive e più squisitamente culturali. Importante è stata quella ebraica, specialmente per quanto riguarda l’elaborazione delle verdure e la preparazione delle frattaglie. Poi c’è stata – e c’è tuttora – l’influenza tunisina dovuta agli stretti rapporti tra dirimpettai nel Canale di Sicilia e che trova la sua massima espressione nel cous cous preparato a mano, con tempo e sapienza, nel triangolo compreso tra Pantelleria, San Vito Lo Capo e Trapani. Tutto questo, molto prima che diventasse di moda (quello precotto). E sono tante le somiglianze con la cucina genovese: il pesto trapanese è cugino di quello ligure, la farinata è imparentata con le panelle, le verdure ripiene sono fatte con ricette simili e il pesce azzurro è trattato allo stesso modo e con la stessa devozione (acciughe ripiene, acciughe fritte al pomodoro, polpette di acciughe). Questo strano gemellaggio è senz’altro dovuto alle affinità climatiche, ma soprattutto agli intensi scambi commerciali tra i porti isolani e quello di Genova. Come si sa, la Sicilia fu il granaio d’Italia e il primo grande laboratorio della pasta che proprio qui veniva sperimentata in nuove ricette e forme. Contemporaneamente a Genova sorgevano i primi grandi pastifici (siamo tra il 1200 e il 1300) che dalla Sicilia importavano grano e maestranze specializzate. In questa condizione di scambio anche i saperi gastronomici entrarono virtuosamente in un circuito arricchente per le due terre. Infine non vanno trascurati gli apporti della straordinaria cucina di Napoli che rimase unita a Palermo per secoli nel Regno delle Due Sicilie.
I siciliani si sono comportati come vere e proprie carte assorbenti verso i popoli con i quali sono venuti a contatto. Un po’ per meglio sopravvivere, un po’ per l’ospitalità greca, un po’ per naturale esterofilia e un po’ per la tendenza all’emulazione. Basta vedere come la cucina vegetariana sappia imitare quella carnivora, la cucina povera la ricca, i frutti di martorana la natura.
I siciliani hanno preso di tutto da tutti: cromosomi, vocaboli, stili di vita, e naturalmente cibi e pietanze, elaborando e arricchendo a ogni passaggio di dominazioni i piatti di una cucina che oggi si presenta ricca, fantasiosa e raffinata come poche altre.
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