Che la Sicilia sia una terra a tinte forti, è risaputo. Così come si sa che tutti i siciliani sono intimamente teatrali.
A qualsiasi ceto, censo o livello culturale appartengano, non possono fare a meno di rappresentare la loro sicilitudine come in una tragedia o in una commedia a seconda del momento. In ogni caso, si tratta sempre di rappresentazioni recitate solo da prime donne e primi attori, perché qui non esistono comprimari né comparse. In questo, non c’è che dire, la teatralità siciliana è erede legittima del teatro greco, dove anche il coro è protagonista, pari fra pari.
Con questa premessa, è facile capire come il siciliano corra sempre il rischio di inciampare nella retorica. Non solo quando fa discorsi di alto profilo, ma anche quando tocca argomenti lievi. In un luogo dove tutto è rappresentato più che presentato, ogni parola o gesto ha un significato nascosto e più profondo di quello che riesce a cogliere l’osservatore forestiero. Tutto è linguaggio e tutto è capace di rimandare a qualcos’altro di diverso e più blasonato da sé. Il senso del sacro è radicato in tutti – laici e mangiapreti compresi – e si infiltra ovunque con la missione di liberare il quotidiano dalla dimensione prosaica e dalla banalità.
Quando faceva il pane, mia nonna non eseguiva solo un’ordinaria azione di cucina. Per cominciare, imprimeva con il palmo della mano posto a taglio un segno di croce sulla cima della vetta del monticello di farina, solo dopo scavava il cratere dove avrebbe versato l’acqua e posto il lievito. Poi, al momento della cottura, accompagnava l’ingresso nel forno di ciascun pane con un motto, una benedizione, una breve invocazione in versi:
Lu pani ‘ntra lu furnu
La grazia ppì’ lu munnu
Il pane nel forno
La grazia per il mondo
Pani lèvitu e furnu forti
Pane lievitato e forno forte
Santa Zita, d’oru la crusta e bianca la muddica
Santa Zita, d’oro la crosta e bianca la mollica
Sant’Agàta, beddu di panza e beddu di balata
Sant’Agata, bello di pancia e bello di base
Santu Nicola, beddu di dintra e beddu di fora
San Nicola, bello di dentro e bello di fuori
Sant’Onuratu, né àjumu né passatu
Sant’Onorato, né azimo né passato di lievitazione
Santa Catarina, lu me pani comu a chiddu d’a riggina
Santa Caterina, il mio pane come quello della regina
San Giuvanni, criscilu beddu ranni
San Giovanni, crescilo bello grande
Sant’Austinu, ogni pani quantu ‘n cufinu
Sant’Agostino, ogni pane quanto una gerla
Santu Ramunnu, crisci lu pani quantu lu furnu
San Raimondo, fa’ crescere il pane quanto il forno
Crisci crisci ca Diu ti binidìci
Cresci cresci, che Dio ti benedice