Quasi tutti i cuochi che ho incontrato hanno ammesso l’origine materna della loro cucina. I padri (cioè i maestri cuochi) ci sono stati, ma sono arrivati dopo. I primi rudimenti, e con questi le emozioni più forti e le associazioni più indelebili, sono arrivati dalla mamma.
Fino agli anni sessanta del secolo scorso, quasi tutte le mamme erano cuciniere e quindi portatrici di saperi gastronomici da trasmettere. Poi le cose sono cambiate. La donna si è fortunatamente emancipata ma ha anche cominciato a prendere le distanze da quei fornelli ormai visti come simbolo di oppressione. Il vuoto della tavola, materiale e culturale, è stato riempito prima dalle rosticcerie e poi dall’industria che ha interpretato a modo e secondo i suoi interessi la tradizione immettendo sul mercato prima scatole, poi buste di liofilizzati e infine bustone di surgelati. Emblematici e proverbiali, i 4 salti in padella.
Conseguenza di questa triste vicenda è la nascita di una prima generazione di orfani della cucina. Di figlie e figli che non hanno mai appreso dalle labbra e dai gesti materni quell’abc che è alla base della tanto magnificata tradizione gastronomica italiana e ne ha consentito, almeno finora, la sopravvivenza. Di cucina c’è bisogno, ora più che mai, come sappiamo bene tutti. Cosa possono fare i poveri orfani della cucina, ormai giunti alla terza generazione, se non farsi adottare da figure sostitutive? Può andare bene, e finire in una buona scuola di cucina, e può andare male e, per esempio, convincersi che si possa imparare da Master-chef, Hell’s Kitchen e via dicendo. La tv, la rete e l’editoria straboccano di madri sostitutive pronte a dare sollievo al diffuso senso di orfanezza. Ma attenzione alle matrigne! Abbondano al punto di essere diventate le artefici di una nuova cucina italiana, la cucina orfana, che si ricorda ancora degli spaghetti ma li mescola a zenzero e gauacamole. Questo se va bene. Senò gli spaghetti spariscono e rimangono il bulgur e l’amaranto, il sesamo e la quinoa, il ketchup e la senape, il wurstel e il tabasco, il pepe rosa e lo sciroppo d’acero.
La cucina orfana
Marzo 1, 2016 | 0 commenti