Martino Ragusa, il Blog

Ricette di cucina, cultura gastronomica e divagazioni

E noi abbocchiamo…

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Si sa bene e si sa da sempre che il senso del gusto non è uguale per tutti. È vero che i cinque sapori base – dolce, amaro, il salato, l’aspro e l’umami – possono essere considerati oggettivi e quindi uguali per tutti, ma anche questi lo sono fino a un certo punto. Per esempio, esistono categorie di persone che, per cause genetiche, percepiscono in modo maggiore l’amaro e sono chiamati dai ricercatori “super taster”. All’opposto, i “non taster” lo percepiscono molto poco.

La situazione si complica quando dall’oggettività della genetica si passa alla soggettività dell’intera persona, con il suo personale patrimonio culturale ed esperienziale.

L’abbaglio più comune e più efficace a corrompere il giudizio è quello che gli psicologi sperimentali chiamano “Effetto Alone”. Si tratta di un errore cognitivo, tecnicamente detto bias (pron. baias), nel quale è facile cadere quando si viene colpiti da una speciale qualità di quanto si giudica. Può accadere che se si viene condizionati da questa qualità, si finisce con l’attribuire all’oggetto in esame altre doti che non è detto questo possegga. Per esempio, una persona ben vestita può essere ritenuta anche affidabile quando magari non lo è; una persona di bell’aspetto può essere erroneamente ritenuta felice; una pietanza di colore chiaro più leggera. Insomma è la solita storia: in un periodo come quello che stiamo vivendo segnato dal dominio dell’immagine, l’apparenza finisce con l’essere più importante della sostanza e, cosa più grave, di dominarla. Fino al punto di trasformarla. Fino al punto di farcela percepire diversa da quello che è. Tutto questo è il pane quotidiano della pubblicità. E noi, spesso, abbocchiamo.

 

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