Il nome ironico di questa ricetta ci porta nel terreno delicato del turpiloquio. La parola “sticchiu” indica in modo volgare la vagina mentre il “parrinu” è il prete. Ovvia l’incongrua attribuzione dei genitali femminili a un prete. Perché? Anzitutto per anticlericalismo popolare, un sentimento reattivo piuttosto diffuso nella cattolica Sicilia, vicereame della cattolicissima Spagna. Lo stesso si può dire per la ricetta dei biscotti Affucaparrini (affoga preti) e dei biscotti “Strunza d’angilu” (stronzi d’angelo).
Ma come mai al prete vengono attribuiti genitali femminili? Semplice: perché nella società ottocentesca la cucina è cosa di donne, e per una donna nominare i genitali maschili sarebbe stato troppo volgare. Ecco spiegato il viraggio dal maschile al femminile, coerente, fra l’altro, con la tonaca in un’epoca in cui il clargymannon era nemmeno immaginabile.
Una volta chiarito il mistero della strana sessualità del prete preso di mira dalla ricetta, è lecito chiedersi, questioni di genere a parte, il perché di questo strano nome. Posso rispondere senza ipocrisie solo contaminandomi con la volgarità del tema che stiamo trattando: “a sticchiu di parrinu” equivale a “a cazzo di cane”, per dire che si tratta di una ricetta sommaria e sbrigativa.
Ingredienti per 4 persone
800 g di patate
400 g polpa pomodori rossi maturi
400 g di cipolle rosse di Tropea (cipudda calabrisi)
olio extravergine di oliva
11 foglia di alloro
origano
pepe nero
sale
Tagliate le patate a fette intere e alte mezzo centimetro. Lavate i pomodori, togliete il picciolo e tuffateli in acqua bollente per 1 minuto, pelateli e tritateli finemente. Mondate le cipolle e tagliatele in ottavi.
Ungete una teglia e sistematevi le patate assieme alle cipolle e i pomodori. Salate, pepate, aggiungete l’alloro e irrorate con un filo di olio. Copritele con la carta stagnola e infornatele a forno preriscaldato a 200°C per 30 minuti. Rimuovete la carta stagnola aggiungete l’origano e finite di cuocere il altri 20 minuti.