Martino Ragusa, il Blog

Ricette di cucina, cultura gastronomica e divagazioni

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La cucina del Trentino-Alto Adige

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Due lingue e due culture, la germanica l’italiana. Talmente diverse tra loro far supporre un’uguale distanza anche tra le cucine. Non è così, perché Trentino e Alto Adige hanno avuto tutto il tempo per conoscersi, apprezzarsi e scambiarsi ingredienti e princìpi culinari. il “Tirolo storico” comprendeva già nel XVI secolo le attuali provincie di Trento e di Bolzano e le successive vicende storiche avrebbero visto uniti i due territori in periodi precedenti la definitiva annessione dell’Alto Adige all’Italia alla fine della prima guerra mondiale. Non va neppure dimenticato che la valle del fiume Adige, con il suo proseguimento nella valle dell’Isarco fino al passo del Brennero, era una primaria via di comunicazione tra l’Europa centrale e quella mediterranea. Inevitabili, dunque, gli scambi tra due aree che sono anche accumunate dalla circostanza non secondaria di essere entrambe montane.

Negli ultimi anni, poi, la provincia di Bolzano si è ulteriormente aperta alla dieta mediterranea con il risultato di due cucine ormai sorelle.
Oggi i numerosi cuochi altoatesini di livello si propongono come la frangia meridionale di quella legione di “nuovi chef d’avanguardia germano-scandinavi” con una cucina fortemente ispirata alle materie prime territorio anche se, nel caso dell’estremo nord, queste si riducono a pesci, alghe e licheni. Al contrario e in più rispetto a questi, gli chef del Sud Tirolo propongono un’alta cucina che attinge al ben più vasto paniere alpino di formaggi e latticini, pesci d’acqua dolce, cacciagione, salumi, erbe aromatiche, grano saraceno, orzo, segale, frutti di bosco e le amate spezie per le quali nutrono una fissazione quasi “alchemica”. In più, hanno accolto le verdure fresche del nostro meridione, il pesce di mare e le erbe mediterranee e tenuto sotto controllo il livello dei grassi animali.

L’esempio della cucina stellata è stato seguito da quella senza stelle e dalla casalinga che, pur mantenendosi fedele ai principi della tradizione – sempre molto rispettata quando è in gioco l’identità – ha aperto il suo profilo montanaro a divagazioni a base di pasta, verdure, olio d’oliva e pesci del Mediterraneo.
Anche il trentino ha accolto gli influssi provenienti da nord, traendo idee per migliorare l’appetibilità di una cucina di sussistenza, contadina e bracciantile, mai raggiunta dall’eco delle pietanze servite nelle fastose tavole del Principato Vescovile di Trento.

La grande specialità ecumenica, presente al di qua e al di là della Chiusa di Solorno è il Canederlo – Knödel. Non c’è contrada, trentina o bolzanina dove i Canederli non vengano portati a tavola spesso e volentieri. Soprattutto in brodo, ma anche asciutti, al burro, e serviti come primo piatto o come contorno di un piatto a base di carne.

Un maso, un pane
In Alto Adige ogni giorno vengono sfornati 112 tipi di pane. Tanta fantasia è dovuta all’isolamento dei masi, le storiche abitazioni rurali economicamente autosufficienti, che hanno portato le famiglie a personalizzare le proprie ricette che variano soprattutto per la proporzione tra le farine di frumento e di segale.

La quantità di farina di segale è determinata dall’altitudine del maso: più alta è la quota e maggiore è la percentuale di segale più si adatta al clima montano. Altro motivo di varietà sono i condimenti, mai costituti da grassi come nel resto d’Italia, ma sempre e solo da spezie, erbe e semi. I più usati sono il cumino, il sesamo, il coriandolo, il finocchio, i semi di papavero, di zucca, di girasole e di lino. Tipica è la trigonella o fieno greco cui si deve il sapore leggermente amarognolo ed erboso di quasi tutti i tipi di pane. Quanto alla forma, l’altezza di un pane varia con la quantità di farina di segale adoperata, più abbonda e più bassa (ma anche più durevole) sarà la pagnotta. Il più basso e conservevole di tutti – dura anche un anno – è lo Schüttelbrot, un pane tutto crosta e niente mollica, fatto con farina di segale, lievito acido (Sauerteig) e semi di cumino. Ha l’aspetto di un disco color nocciola chiaro, ma se è stato fatto come si deve, cioè a mano, il centro sarà bruno e tendente al bruciacchiato. Quello che al profano sembra un difetto è invece la garanzia della fattura artigianale. Schüttelbrot significa “pane scosso” e non potrebbe chiamarsi altrimenti visto il metodo di lavorazione. Quando il panetto di farina di segale raggiunge i tre quarti della lievitazione, il fornaio lo mette al centro di una tavoletta di legno rotonda e lo sbatte su un piano rigido girandolo di qualche grado a ogni sbattuta fino a quando la pagnotta non rimane appiattita sulla tavola assumendo la forma di un disco più spesso ai bordi e più sottile al centro. A questo punto è pronto per il forno dove, inevitabilmente, il centro più sottile si cuocerà prima del resto risultando perciò più scuro.
Molto diffusa è la Puccia Pusterese (Pusterer Breatl), un bel pane di mezzo chilo dalla crosta scura fatto con due terzi di farina di segale e uno di frumento, e aromatizzato con trigonella, semi di finocchio, cumino e coriandolo. Migliora dopo ventiquattro dall’uscita dal forno e viene conservata in posizione verticale nelle tipiche rastrelliere in modo che le forme non si tocchino l’una con l’altra e siano ben areate da tutte le parti.

Presente in tutti i forni è anche il Paarl della Valvenosta, fatto con gli stessi ingredienti della Puccia ma con un aspetto molto diverso. Paarl significa “coppia” e infatti è composto da due pagnottelle gemelle, basse e unite fra loro. Se le pagnottelle unite fra loro sono tre, allora si tratta di un Pindl, originario della Val D’Ultimo ma molto diffuso anche in Val d’Isarco con il nome di Dreierle. I Kletzenbrot sono pani alla frutta arricchiti con pere secche, nocciole, uva sultanina, fichi, pezzettini di mela e prugne. Famosi ormai in tutta Italia sono i Brezel, presenti anche in Austria, Baviera e Venezia Giulia. Sono ciambelline di origine conventuale a forma di anello intersecato da una croce. Ce ne sono diversi tipi: di farina di segale, di grano tenero, di farine miste e sono variamente aromatizzati con semi di papavero, cumino, eccetera. Anche lo spessore cambia. Possono essere sottili e e croccanti, oppure più soffici e voluminosi, adatti ad essere spaccati a metà e farciti come panini.

Il formaggio femminista
Il Graukäse (Formaggio grigio) è il formaggio più magro del mondo (massimo 2 per cento di grassi), è privo di colesterolo e accessibile anche ai vegetariani perché non conntiene caglio animale. Per farlo si parte dal latte scremato residuato dopo dalla produzione del burro e lasciato riposare due giorni per dare vita a un coagulazione acida. Quindi si porta a 55 gradi e si lascia affiorare la massa caseosa che viene pressata per spurgarla dal siero salata e fatta stagionare per alcune settimane. Ne risulta un formaggio dal sapore denso, da degustare tal quale o condito con olio, aceto e cipolle crude, oppure da usare in cucina. degustare a pezzetti, condito con olio d’oliva, aceto di vino e cipolla tagliata sottile. Tradizionalmente è prodotto nei masi dalle donne che si trasmettono la ricetta di madre in figlia e ancora oggi conservano il diritto di tenere per sé il ricavato delle vendite, senza dover rendere conto ai mariti delle spese fatte con questo danaro. Uno spiraglio femminista nella struttura patriarcale del maso e una medaglia al valore per le donne casare che hanno e tenuto in vita un grande prodotto che ha rischiato di estinguersi.

Speck artigianale Vs Speck industriale
Le differenze sono tante. Anzitutto l’età e il peso del suino. Quelli usati per la produzione dello speck industriale vengono macellati a un’età di nove mesi, quelli che verranno macellati e lavorati artigianalmente sono lasciati in vita oltre 3 anni. Naturalmente sono più grossi e grassi, capaci di superare i 230 chili contro i 130 chili dei suinetti usati dall’industria.
Ma i contadini assicurano il maiale raggiunge l’equilibrio ottimale tra parte grassa e parte magra, indispensabile per ottenere un buon prodotto, quando supera i 230 chili.
Un’altra importante differenza e che nei masi si produce lo speck una sola volta all’anno, non a rotazione continua come fa l’industria. In questo modo si possono evitare le celle frigorifere e salare e stagionare nelle cantine dove l’aria è più secca e la temperatura leggermente più alta. Lo speck viene preparato in autunno dopo le prime gelate notturne quando è scongiurato il pericolo di contaminazione a opera degli insetti e si può così evitare l’uso di insetticidi oltre ai conservanti.

Una volte disossate, le cosce vengono salate a secco su assi di legno, non immerse in vasche con la salamoia che invece viene versata su ciascuna ogni tre giorni. Dopo vengono appese e affumicate una o due volte al giorno con legno di abete. Infine c’è la stagionatura che si protrae per almeno un anno a differenza di quella industriale che dura pochi mesi. In primavera, una leggera coltre di muffa segnalerà che lo speck è pronto.

Mortandela e Puzzone di Moena. Strani nomi, grandi sapori
La Mortandela è un antico salume trentino ormai raro forse a causa di un’economia troppo esclusivamente concentrata sulla produzione delle mele. È fatta con frattaglie: polmone, fegato, cuore, lingua, gola, sottogola e grasso del maiale denervate, macinate e impastate con sale, pepe, aromi e vino. Con l’impasto si formano delle palline simili a polpette che vengono battute a lungo con le mani per far uscire tutta l’aria inglobata. Poi sono disposte su delle assi di legno precedentemente infarinate con farina di grano saraceno e lasciate asciugare in cella frigorifera per circa 12 ore, poi vengono affumicate e quindi stagionate per circa una settimana.
La mortandela è un prodotto semifresco. Si può consumare cruda o cotta con polenta, patate, crauti e verdure di campo bollite.
Il Puzzone di Moena (o Spretz Tzaorì in ladino) è un formaggio a latte crudo stagiomato da 3 a 10 mesi, dal sapore piacevolmente piccante e dall’odore irresistibile checché suggerisca il nome. Oltre che per l’odore, si riconoscibile per la crosta untuosa. Al taglio presenta una pasta piena di paglierino chiaro e con una piccola occhiatura sparsa. Si produce nelle valli di Fiemme e di Fassa. Non facilmente reperibile nelle formaggerie italiane, va degustato in loco o comprato Online.

I Canederli (Knödel)

Ingredienti per 4 persone (circa 8 canederli)

250 g di pane bianco raffermo

150 g di speck in un’unica fetta

2 uova

200 ml di latte

30 g di burro

40 g di farina 00

1 ciuffetto di prezzemolo

erba cipollina

1 cipolla bianca o gialla

pepe bianco

sale

Per il brodo:

1 kg di carne di bovino adulto scegliendo i tagli tra: reale, punta di petto, doppione, sottopaletta, muscolo, girello.

¼ di gallina (facoltativa)

2,5 litri di acqua

1 osso (facoltativo)

1 cipolla pelata intera media

1 carota media intera pelata di circa 70 g

1 costa di sedano intera da 30 g

1 cucchiaino da tè di sale

Il brodo

Deponete la carne (e l’osso se c’è) nella pentola e sommergetela con l’acqua fredda. Unite la carota, il sedano, la cipolla e il sale. Portate a bollore, abbassate la fiamma e cuocete per circa 2 ore schiumando durante la prima 1/2 ora di ebollizione. Filtrate il brodo, regolate di sale, e lasciatelo raffreddare. Trasferitelo in frigo in un recipiente coperto per 4 ore e poi sgrassatelo.

I canederli

Tagliate il pane a dadini piccoli, di 1 cm di lato, e mettetelo in una scodella. Aggiungete il latte (se fosse insufficiente aumentate la dose), le uova sbattute, la farina un pizzico sale e uno di pepe, mescolate velocemente, senza spremere ed evitando di ridurre il pane in pappa. Lasciate riposare in frigo per 15 minuti in frigo. Tagliate lo speck a dadini. Tritate la cipolla e fatela appassire nel burro la cipolla assieme allo speck. Mescolate, sempre senza spremere, il pane ammollato con la cipolla appassita con lo speck. Pepate e aggiustate di sale tenendo conto dello speck. Se l’impasto risultasse troppo morbido, aggiungete del pangrattato. Formate 8 canederli (di circa 5-6 centimetri di diametro) bagnandovi le mani in acqua. Fateli riposare per circa mezzora.

Cuoceteli tutti insieme a fuoco basso in acqua leggermente salata e bollente. Cuocete tenendo il bollore al minimo per 15 minuti dalla ripresa del bollore. Scolate i canederli, mettetene due in ogni piatto fondo e copriteli con il brodo bollente.

 

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