Martino Ragusa, il Blog

Ricette di cucina, cultura gastronomica e divagazioni

Se lo chef cucina un’idea, che sia buona da mangiare

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Scrive Ferran Adrià al punto n.11 del suo decalogo (ma in realtà sono 23 voci): La cucina concettuale è il vertice della piramide creativa.


Che cibo e idea siano i termini di un binomio è storia vecchia
: l’uomo mangia soprattutto con la testa, Durante la sua evoluzione ha encefalizzato, cioè trasportato nel cervello, molte funzioni fisiologicamente dislocate in organi più meridionali del suo corpo (basti pensare alle vicissitudini dell’eros, con i genitali sempre più migrati in alto verso le zone corticocerebrali), lo stesso è accaduto con il palato. La parola che mi lascia perplesso è quel vertice di piramide sul quale il papà della cucina destrutturata infilza il concetto quando avrei preferito un’immagine cornuta recande su una punta il concetto e sull’altra l materia.

Diceva sempre Adrià quando il suo ristorante era ancora aperto: «Il cliente ideale non viene a El Bulli per mangiare, ma per provare un’esperienza». Un ulteriore, radicale stigmatizzazione del primato dell’idea sulla materia con l’invito a nutrirsi più delle idee dello chef che di cibo.

Qui scatta la ma perplessità: in fondo è piuttosto facile tradurre un’idea (e un’ideoligia) in un cibo non necessariamente stupendo da mangiare. La vera sfida, invece, è riuscire a mantenere materia e idea termini di un binomio armonico. Le idee corrono veloci per loro stessa natura ed è naturale che prendano tangenti iperboliche se non sono ben zavorrate dalla materialità del cibo. In questo caso, può succedere che quando atterrano nel piatto risultino troppo astratte e poco appetitose.

Sinceramente, a me piace andare in un ristorante anche per mangiare e non solo per assorbire idee e ideologie dello chef per via orale. Che sono benvenute, intendiamoci, purché, oltre che plausibili, siano zavorrate con  qualcosa di buono da mangiare.

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