Semplice, amante dei sapori freschi, del crudo, delle cotture lunghe e dolci. Attualissima, quindi, e naturalmente raffinata. La cucina pugliese è legata all’identità mediterranea e maestra nell’accostamento dei sapori di mare con quelli di terra, ma anche avversa alle operazioni di copertura dei sapori, all’abuso di salse e a quanto possa corrompere la fragranza delle materie prime. Sono queste le linee guida dei teorici delle “nuove cucine” ed è questo che succede da sempre in Puglia. Gran parte del merito va alla felicissima geografia di una regione con un eccezionale sviluppo costiero, con il mare sempre vicino alla campagna e l’assenza di rilievi importanti con l’unica eccezione dell’altopiano del Gargano. Tutto questo ha favorito l’incontro prodotti della terra con quelli del mare, ma anche la mescolanza di saperi gastronomici provenienti da più contrade lontane tra loro. Perciò la cucina pugliese è unitaria, priva di quelle grandi differenze determinate dagli ostacoli montuosi. Arrivando alla tavola, la prima cosa che viene da dire è che non è mai vuota. Se l’ambiente è autentico, ancora prima di sedersi si apparecchia il sopratavola (‘u sopataue) con sedano, finocchi, ravanelli, le mozzarelle ancora tiepide, appena pescate nel calderone e immerse nel loro latticello, la giuncata avvolta nel suo involucro di foglie verde smeraldo, la burrata fragrante di freschezza. Teoricamente tutto dovrebbe durare fino al momento del dessert, ma è impossibile resistere, anche perché il sopratavola è spesso accostato all’antipasto di pesce crudo con ricci, ostriche dell’Adriatico, minuscoli polpi di scoglio. Calamaretti e novellame di seppia. Tutto condito dalla sola freschezza e da mangiare in piedi, fra una chiacchiera e l’altra, e con le mani. Una volta seduti si potranno gustare le celeberrime orecchiette condite con le cime di rapa o con il ragù dove hanno stufato le braciole di carne (ma sono involtini!) farcite di pecorino, prezzemolo e aglio.
Una volta le braciole si facevano con la carne di cavallo, oggi si tende a preferire il vitello. Va notato che il termine italiano “orecchiette” deriva dal dialetto “recchietelle”, ed è solo una tra le tante denominazioni. Dal Gargano a Leuca le sentirete chiamare, via via, Cicatelli a Foggia, Strascinati a Bari, Chiangarelle a Taranto, Stacchiodde a Brindisi, e poi ancora Pociacche e Pestazzuole. Anche la dimensione varia da quella di una moneta da due euro fino a quella da 20 centesimi, quello che non cambia è la geniale forma incavata perfetta per raccogliere il condimento.
Ottima alternativa a un primo di pasta fresca è la Tiella, erede della Paella Valenciana con riso, patate, cozze e pecorino, o un pancotto con verdure di stagione. Grande onore viene tributato al pescato di entrambe le coste. Il pesce azzurro trionfa con le Alici in Tortiera, le Sarde Impanate e le Polpette di Sarde. E poi le Orate alla Pugliese (al forno con patate e pecorino), le Seppie Ripiene, il Quatarone di Gallipoli (zuppa di pesce di scoglio), e, massima tra le raffinatezze, le Anguille all’Acqua Marina.
Tra i prodotti tipici vi ricordo i meravigliosi latticini di Andria che vi consiglio di assaggiare direttamente nei numerosi caseifici, l’aristocratico caciocavallo podolico realizzato con il latte delle ormai rare vacche podoliche, il Capocollo di Martina Franca, lo squisito pane di Altamura (ma non va dimenticato quello di Monte Sant’Angelo), la ricotta marzotica (stagionata) e lo squisito olio prodotto in ogni campagna della regione. Quanto ai vini, numerosissimi, solo a elencare i principali si ha l’impressione di trovarsi davanti a una passerella di celebrità: Locorotondo, Primitivo di Manduria, Salice salentino, Castel del Monte, Aleatico, Galatina, Brindisi… e sono solo i più famosi.
Infine, nomi dei dolci risuonano della tradizione conventuale dalla quale sono nati quasi tutti: Le “Dita degli apostoli”, sono crêpe ripiene di ricotta e cioccolato ed erano una specialità delle clarisse; alle benedettine si devono i “Cuscini di Gesù Bambino”, biscotti di mandorle e marmellata d’uva; le monache baresi di Santa Scolastica hanno tramandato le mammelle della Vergine, paste di forma conica fatte con pasta frolla ripiena di canditi. Votive sono anche le Cartellate, cestini di pasta fritta ripidi di miele. Sono dedicate alla Madonna, ma discendono da quelle raffigurate in una pittura rupestre del VI secolo a.C. e venivano offerte a Cerere per propiziare il raccolto.
Tutte le ricette sono raccolte nei “libri di esito” dei monasteri femminili, e sono ancora disponibili per quanti volessero verificarne l’autenticità. Ma la verifica migliore, si sa, è quella irrinunciabile dell’assaggio.