Con tanti aggettivi che avrei a disposizione, il primo che mi viene in mente per definire la cucina siciliana è funambolica. È così che la vedo: in bilico tra passato e futuro, opulenza e povertà, aristocrazia e popolo, tradizione e innovazione. Funambolica, in movimento e perciò attuale, adatta al gusto e alla dietetica contemporanea.
È vero che la gastronomia dell’isola deriva da un imponente passato che continua a essere il principio di tutto, ma è anche vero che tutto questo prezioso retaggio non è diventato un peso. Sappiamo come funziona: da solide radici si attingono insegnamenti, identità, sicurezza e credibilità. Ma se a un certo punto entra in gioco una variabile imprevista, come un mutato stile di vita, quel bel passatone si può trasformare in una zavorra capace di fare affondare la barca. Basta guardare a cos’è successo alla cucina francese classica, che ha perso il suo primato di migliore cucina del mondo proprio a causa del suo glorioso passato, pieno di preparazioni raffinate a loro volta stracolme di grassi animali e salse burrose capaci ormai di ricordare solo calorie in eccesso e accidenti cardiovascolari.
Lo stesso stile di vita che ha sferrato la solenne batosta alla cucina francese bollandola come grassa e antica, è stata la fortuna della cucina italiana e ancor più della siciliana, ormai indicata a modello di corretta alimentazione mediterranea.
La Sicilia si trova al centro di quel Mediterraneo a cui tutto il mondo ormai guarda come fonte di cibi e di saperi capaci di regalare al tempo steso salute, tradizione e gusto. Chi l’avrebbe mai detto che grandi chef di tutto il mondo si sarebbero impegnati a studiare, interpretare e riprodurre una poverissima pasta con l’olio, pomodori e basilico? Che ci avrebbero invidiato le sarde fresche che sono ancora vendute a due euro al chilo al mercato palermitano di Ballarò?
Tornassero al mondo i miei nonni, che potevano permettersi di mangiare la carne non più di tre volte l’anno, penserebbero di essere capitati in un manicomio. Ma si prenderebbero una bella soddisfazione.
Non penso di essere sciovinista se mi permetto di ricordare come il clima straordinario della Sicilia faccia crescere gli ortaggi più gustosi del mondo. Qui gli ulivi danno oli profumati, le uve vini preziosi e le erbe aromatiche hanno fragranze più intense. Ed è anche un luogo dove la gente è rimasta legata ai sapori naturali del mare e della terra, dove non si sono consumati quei tradimenti di stile alimentare che sono ormai consueti in tante altre parti d’Italia. In Sicilia, la memoria dell’antica cucina materna è ancora viva e le nuove mamme non hanno ancora disperso quei saperi. Grazie a loro si può contare su un fronte di resistenza armato di mestoli che riesce ancora a respingere gli attacchi di un marketing aggressivo che spinge all’omologazione del gusto. Con qualche vittima, questo è inteso, ma con un bollettino di guerra tutto sommato soddisfacente. Per esempio, in tutta l’isola si conta circa la metà dei ristoranti Mc Donald’s presenti nella sola Milano. Insomma, se è vero che anche qui i bambini frignano per l’hamburger globalizzato, è anche vero che i genitori li distraggono facilmente con un’arancina.