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Quando Pia Palmera arrivò a Monte Marino, i paesani l’accolsero con falsi sorrisi in faccia e sincere coltellate dietro le spalle. Onestamente, non c’era un altro modo di ricevere una cittadina bella, ricca e titolata. E poi aveva sposato Guglielmo Scuderi, la preda mancata di tutte le giovani di buona famiglia.
Si diceva che Pia fosse buona come una colomba senza fiele e limpida come l’acqua di sorgiva, ma erano menzogne messe in giro dai Palmera. Le verità sicure erano ben altre. Come il fatto che – forse a Roma o forse a Milano – si era laureata. Ma fino al punto che sapeva parlare il francese e l’americano a macchinetta. E andava pure a cavallo, alla mascolina con i pantaloni e le cosce aperte.
E poi c’era il fatta vero e proprio, quello che più era taciuto e più era presente sulla lingua di ogni brava cristiana come l’eucarestia: la primogenita Stella era nata di sette mesi e quattro chili. Tutti facevano finta di crederci ma intanto emettevano il loro responso unanime e solenne come una sentenza di tribunale: una bagascia di Palermo con le vergogne riparate dal blasone era venuta a fare la regina di Monte Marino.
Figurarsi se non avrebbe messo sottosopra il paese! Si era capito fin dalla sua prima uscita, quando se ne andò in giro per il corso proprio alle sei del pomeriggio, che tutti la vedessero, con la bambina nella carrozzella e senza il marito a lato. Chiaro come il sole che voleva obbligare la meglio gente a scappellarsi davanti a lei e alla piccola bastarda nata fuori dalla grazia di Dio.
Quella passeggiata, si chiedevano tutti, era stata un colpo di testa o si trattava un’usanza nuova? La domenica sarebbe andata alla messa di mezzogiorno oppure avrebbe scelto quella delle nove con le vedove? O quella delle sette, assieme alle donne che hanno l’interesse di nascondersi? Rischiava di saltare per aria tutto. Se cambiava l’orario della messa, saltava anche l’ora del passeggio e addio mattinata della domenica.
Come si sarebbe vestita? Che gioielli avrebbe portato? Si mormorava che bevesse il tè come i malati e che lo dava pure a chi andava a trovarla anche se scoppiava di salute. E a proposito di visite, le meglio informate dicevano che a Palermo in casa Palmera si facevano il sabato pomeriggio e non la domenica. Una vera bestialità! Si sa che il sabato tutti stanno a casa a fare le pulizie prima della domenica. Tutto a gambe all’aria, tradizioni, vestiti e chissà cos’altro. Un terremoto di Messina! E nessuno avrebbe potuto vendicarsi, come fu con donna Orsola Staiti quando da un giorno all’altro decise di accorciarsi le gonne facendo sembrare tutte delle monache di casa. Almeno di lei si potè dire che era brutta come la fame e che suo padre, re dei frantoi, si era arricchito rubando olio dalle giare della povera gente. Ma con donna Pia la vendetta era un’impresa dura. Come criticarla con quella bellezza, quel blasone e tutti quei poderi al sole? Che fosse bella l’ammetteva perfino Giuggia Cacafemmine sotto il peso di cinque figlie tutte nubili tutte brutte come il peccato mortale. Davanti alla nobiltà dei Palmera, poi, si inchinava anche il marito di Pia, il barone Guglielmo Scuderi, perché era più antica e prestigiosa della sua. Quanto a ricchezze, il barone Sangiorgio, titolo fascista ma patrimonio solido, diceva che davanti ai feudi dei Palmera le sue terre erano un vaso di basilico sul balcone.
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