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Tutto (o quasi) sul carciofo

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A Roma non c’è trattoria di Trastevere o ristorante elegante che in primavera non offra il carciofo alla giudìa, la grande “mammola romana” trasformata in un bellissimo fiore ambrato e croccante dopo una sapiente frittura per immersione nell’olio di oliva.

Più tecnicamente, si tratta del Carciofo Romanesco del Lazio Igp che comprende due diverse cultivar, la Castellammare (precoce) e la Campagnana (tardiva). Una provvidenziale staffetta capace di prolungare la stagione da febbraio a maggio.
Coltivato nelle provincie di Roma, Viterbo e Latina, il carciofo romanesco si riconosce facilmente per la forma sferica e le grandi dimensioni. Il disciplinare I.G.P impone che i cimaroli (le mammole) abbiano un diametro non inferiore a 10 centimetri, dimensioni che comportano un peso di circa 300 grammi. Come dire che con due carciofi si mette insieme un secondo abbondante.
Le brattee sono tondeggianti, verdi con sfumature violette, molto serrate e con un buco al culmine. Il sapore è perfettamente equilibrato tra l’erbaceo-dolciastro e l’amarognolo, la tenerezza è garantita anche negli esemplari più grandi mentre la peluria centrale è molto ridotta. Per questo motivo le mammole romane sono le sole a potere essere fritte intere senza correre rischi malgrado le dimensioni. Qualsiasi altro carciofo di taglia così grande darebbe problemi di tenerezza ed eccesso di pappo, la fastidiosa barbetta centrale.
Oltre che alla giudìa, il carciofo romanesco viene preparato alla romana, in umido con pangrattato, aglio, prezzemolo e pepe e alla matticella, aromatizzato con aglio e mentuccia e poi arrostito su braci ottenute dalle potature delle viti. A queste principali preparazioni tradizionali si aggiungono numerose proposte innovative degli chef: con una materia prima così, è facile inventare! L’importante è che il carciofo arrivi in cucina freschissimo, quando è ben pieno, compatto e resistente alla pressione con foglie dure e strettamente serrate e la punta ben chiusa.

Il carciofo è conosciuto dalla notte dei tempi, al punto da vantare un posto nella mitologia greca. Cynara era una ninfa tanto bella quanto civetta. Come al solito Zeus se ne innamorò ma venne ricambiato con un amore incostante e di certo non esclusivo. Esasperato, il re degli dei la trasformò in un carciofo, verde come i suoi occhi, con il cuore tenero ma pieno di spine, una per ogni pena d’amore che quel cuore era stato capace di infliggere.

Il carciofo dei greci e dei romani, comunque, era una varietà selvatica differente da quella odierna che cominciò a essere coltivata intorno al XV secolo in Italia meridionale e soprattutto in Sicilia.

Proprietà

Il carciofo favorisce la diuresi, la secrezione biliare e la digestione. Contiene inulina, una sostanza capace di promuovere la crescita dei bifidobatteri, regolatori delle funzioni intestinali, e allo stesso tempo inibisce la presenza di batteri dannosi. Il cuore del carciofo contiene acido clorogenico, un antiossidante naturale che previene malattie arteriosclerotiche e cardiovascolari. Importantissima la presenza di cinarina, un polifenolo ricco di proprietà antiossidanti e potenzialmente antitumorali, capace di abbassare i livelli di colesterolo e dei trigliceridi. Altre sostanze utili all’organismo sono il ferro, il sodio, il potassio, il calcio, il fosforo, le vitamine A, B1, B2, C, PP, l’acido malico, l’acido citrico, l’acido folico, i tannini e gli zuccheri tollerati anche dai diabetici.

Varietà

Le varietà di carciofo coltivate nel mondo sono più di 90. Possono avere forma tondeggiante o allungata, colore verde con venature violacee di varia intensità o francamente viola. Alcune presentano spine alle estremità delle brattee altre sono inermi, cioè sprovviste di spine. Queste le più diffuse in Italia:

Spinoso Sardo. Di stagione da ottobre a maggio, si riconosce per la forma conica, le brattee serrate e gli aculei molto aguzzi. La sua tenerezza e il suo sapore si apprezzano al meglio se consumato crudo. È coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo Spinoso d’Albenga.

Spinoso di Palermo. Ha forma ovale ed è rivestito di brattee esterne molto consistenti che avvolgono quelle interne spinose, più tenere e carnose. È presente sul mercato durante tutto il semestre freddo, è molto versatile, si presta a tutte le ricette.

Violetto di Toscana. Disponibile durante la stagione primaverile, è di dimensioni piuttosto piccole con forma troncoconica. Le sue brattee sono poco spinose e ondulate verso l’esterno. Si prepara soprattutto fritto o brasato. Si conserva sott’olio.

Castraura della Laguna Veneta. Diffuso nel periodo primaverile, è piccolo, gustoso e tenerissimo. Si ottiene dai getti laterali, “castraura” significa letteralmente “potatura”.

Carciofo Catanese. È il carciofo più coltivato nel sud-Italia. Reperibile in autunno e inverno, si distingue per le sfumature violette delle sue brattee prive di spine. Si cucinano in tutti i modi ed è la varietà più usata dall’industria conserviera.

 

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