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Caro Camilleri, ma chi Le ha dato la ricetta delle arancine?

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Con tutto il rispetto per Adelina, le arancine  (noi della Sicilia Occdentale le chiamiamo così) che danno il titolo al racconto di Camilleri Gli arancini di Montalbano  sono veramente improbabili. Il procedimento è descritto con tale accuratezza che viene voglia di commentarlo passo passo per correggerlo. Senza che Adelina, per carità, si offenda.

In corsivo,  i passaggi chiave del testo di Camilleri.

Adelina ci metteva due jornate sane a pripararli.

L’inizio è corretto. È vero che ci vogliono due giorni. Un giorno per fare il ragù, che lascio insaporire e addensare in frigo per ventiquattr’ore. Il secondo per preparare le arancine. Del resto chi ha voglia di palle di riso fritte può sempre fare in due e due quattro degli ottimi supplì romani.

Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve cociri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico.

L'”aggrassato” che in siciliano significa “umido” con le arancine non c’entra niente, nelle arancine ci va il ragù. Non vedo perché usare la carne di vitello, sarebbe meglio quella di manzo mista a quella di maiale. Una scuola di pensiero di tutto rispetto insiste per l’aggiunta di fegatini di pollo durante l’ultima mezz’ora di cottura del ragù.
Ci va la cipolla, ma non ci vanno né il prezzemolo né il basilico che, fra l’altro, preferiscono esibirsi in cucina sempre separatamente.

Il giorno appresso si prepara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa…

Quella del risotto alla milanese, nella preparazione del quale i siciliani di certo non eccellono,  è una moda recente e parecchio discutibile. Le arancine fatte con un risotto giallo risultano pesanti, stucchevoli, con il riso scotto e impastato.  La cipolla del risotto non c’entra proprio niente. La ricetta  richiede un riso semplicemente lessato a metà cottura, nove minuti esatti dalla ripresa del bollore.

(senza zaffirano, pi carità!)

Con lo zafferano, invece, per carità! Lo zafferano è arrivato a Milano dal mondo arabo via Spagna-Sicilia. È comunque vero che non veniva usato nelle versioni povere del piatto o, ancora oggi, in quelle capziosamente economiche delle rosticcerie.

Lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare.

La sequenza è errata. Prima lo si fa raffreddare, dopo si mettono le uova. Se si rispetta la sequenza di Adelina le uova si cuociono e diventano uova strapazzate mescolate a riso.

Intanto si cocino i pisellini.

Meglio metterli nel ragù, durante gli ultimi 30 minuti di cottura così so insaporiscono di più e non sanno di bollito.

Si fa una besciamella.

“E che è sta besciamella nell’arancina?” direbbe un siciliano doc.

Si riducono a pezzettini na poco di fette di salame.

Neanche il salame c’entra. Invece c va equalche dadino di primo sale o di caciocavallo fresco.

Il suco della carne s’ammisca col risotto.

Il sugo non si mischia con il riso. Deve esserci contrasto cromatico tra riso (giallo) e ragù (rosso).

A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padedda d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano.

Il finale è corretto. Ma meglio non esagerare con l’oro vecchio. Preferite un bel colore di oro giovane. Anzi, di arancio maturo, come suggerisce il nome.

La mia ricetta delle arancine è QUI. 

 

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