Chi pensa alla Valle D’Aosta come a quella piccola regione lassù alto, in un angolo in mezzo alle Alpi, dimentica che i passi del Grande e Piccolo San Bernardo hanno reso la valle una zona di transito tra l’Italia e il Nord-Europa fin dal tempo dei romani, un vero e proprio crocevia di genti di ogni nazione. Inoltre, attraverso il San Bernardo passa la Via Francigena, percorsa nei secoli da pellegrini, viaggiatori e mercanti che hanno scambiato con i valligiani merci e cultura.
La cucina valdostana è indubbiamente alpina ma a differenza delle altre si è aperta ai contributi esterni, accogliendo quando ritenesse opportuno sempre con misura, senza lasciarsi mai colonizzare.
Non è un’estrema emanazione della cucina francese e non è una variante montanara della potente cucina Piemontese. Basti pesare che il riso è penetrato nelle cucine valdostane solo in epoca recente mentre la pasta fresca, onorata dai piemontesi con invenzioni del calibro dei tajarin e degli agnolotti, qui ha mai messo piede.
Però è anche vero che vi si rintracciano influenze savoiarde, tedesche (nella valle di Gressoney e nelle piccole valli laterali che si arrampicano sul monte Rosa) e persino fiamminghe.
La Carbonata è il piatto che racconta questo sottile equilibrio tra aperura e chiusura, tra autoctono e alloctono. Oggi è un umido che si fa con carne fresca e vino locale, ma una volta si usava carne bovina salata, e qualcuno ancora la fa così, perché i valligiani abbattevano i bovini solo alla fine della loro vita quando non erano più utili per il latte e per il lavoro nei campi, poi ne conservavano la carne sotto sale. Alla carne salata e al vino del territorio si uniscono i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata in rappresentanza di un’energica componente esotica. Ma il particolare più interessante è che questo piatto è anche tipico delle Fiandre, dove prende il nome di Carbonade Flammande, e della Galizia dove si chiama Carbonada Gallega. La struttura generale è uguale nelle tre località malgrado la loro distanza, le differenze sono che la fiamminga è tirata a cottura con la birra invece con il vino e la Galiziana comprende anche peperoni e mais in chicchi.
Tre cucine
Con le sue spezie e le sue somiglianze con piatti di paesi lontani, la Carbonada, dimostra la possibilità e la capacità della cucina valdostana di aprirsi all’esterno. Ma il nucleo centrale di questa cucina è fatto di pochi ingredienti. Latte, pane di segale, polenta, maiale, burro, cavolo, formaggio e selvaggina sono le lettere di uno scarso alfabeto capaci però di combinarsi in composizioni diverse con l’aiuto di una spezia o di qualche altro ingrediente lasciato da un mercante di passaggio attraverso uno dei suoi passi.
Oggi in Val d’Aosta convivono tre cucine: quella tradizionale appena descritta, praticata in alcune case e negli agriturismi impegnati nel recupero delle tradizioni; quella dei ristoranti che per venire incontro alle richieste dei turisti ha dovuto hanno dovuto arricchire i loro menu di “novità” come la pasta secca, il riso e il pomodoro. La stessa cotoletta alla valdostana, una specie di Cordon Bleu con fettine di vitello farcite di fontina, e lo stesso risotto alla valdostana, sempre con la fontina, sono stati creati per incrementare il menu turistico. E poi c’è la cucina della maggior parte delle famiglie che per praticità hanno dovuto introdurre nell’alimentazione quotidiana gli spaghetti e la bistecca veloce magari riservando alla domenica i piatti della tradizione.
La Fontina e gli altri formaggi
Regno dei formaggi, la Valle d’Aosta merita un viaggio solo per quelli. Su tutti troneggia la conosciutissima e imitatissima fontina che qui si trova in diverse stagionature e con diversi accenti di sapore.
La Fontina è fatta con latte appena munto (entro 2 ore dalla mungitura) di vacche Pezzate Rosse Valdostane o Castane Valdostane. È stagionato in grotte naturali o in pietra a una temperatura inferiore ai 10 gradi per novanta giorni, le forme vengono girate a mano e spazzolate una a una due volte alla settimana. . Si potrebbe pensare che il termine “fontina” derivi dalla parola “fondere”, la specialità di questo formaggio, invece pare provenga da Fontin, il nome di un alpeggio nella zona di Quart.
La Toma di Gressoney è un formaggio semigrasso fatta con latte vaccino lavorato direttamente negli alpeggi della valle del Lys e del centro valle con metodi tradizionali. Il Fromadzo è fatto con latte vaccino spesso misto a piccole quantità di latte caprino. Semidolce quando è fresco, diviene più saporito, con una punta di piccante, quando è stagionato. Il raro Reblec è ottenuto da panna affiorata spontaneamente e latte crudo intero, si consuma fresco con zucchero e cannella; il Salignoùn è una ricotta aromatizzata con semi di finocchio, peperoncino in polvere ed erbe di montagna, spesso viene affumicata e si mangia con le patate bollite; la Brossa, infine, è un latticino che si ottiene aggiungendo aceto o acido citrico al latticello che residua dalla lavorazione della fontina. Ha la consistenza di una crema e un sapore che ricorda la nocciola. Si mangia sulla polenta.
I salumi
Le delizie che descriveremo non sono considerate antipasti dai valdostani che preferiscono consumarli nei “casse-croute”, pasti non quotidiani, legati a occasioni e giorni particolari e soprattutto destinati a finire tutti con una bevuta collettiva nella coppa dell’amicizia, il tipico recipiente di legno con tanti beccucci da dove si beve caffè caldissimo misto a grappa.
Gli insaccati più comuni sono le Saouseusse, salsicce appassite che vengono consumate dopo stagionatura. Sono fatte con carne macinata, lardo, vino, sale e spezie come pepe, aglio, chiodi di garofano, cannella e noce moscata, ma ogni famiglia ha la propria ricetta. In alta valle si utilizza la carne bovina, in bassa valle quella suina. Spesso sono miste e possono anche contenere carne d’asino e di capra.
Il Teteun è la mammella di mucca salmistrata da condire con una salsa di olio, prezzemolo, e aglio. Il gusto e la provenienza non ne fanno uno spuntino per tutti.
La Mocetta è un salume di bovino (o stambecco o camoscio o capriolo o capra) aromatizzato con aglio, rosmarino, salvia, erbe di montagna e spezie. È stagionata per tre mesi e assomiglia alla bresaola.
il Boudin è un insaccato della famiglia dei sanguinacci, fatto con sangue di maiale, lardo e patate. Si mangia cotto con le patate sia stagionato crudo. In alta valle il sangue è sostituito parzialmente o totalmente dalle rape rosse, coltivate per integrare la dieta delle bovine.
Il Jambon de Bosses è descritto altrove, il Lardo d’Arnad qui di seguito.
Lardo d’Arnad
Arnad è un paese della Bassa Valle molto piccolo che ha dato il nome a un lardo di grande pregio. Come tanti salumi italiani, anche questo è nato come preparazione casalinga molti secoli fa – le prime testimonianze documentali risalgono al 1570 – ma a differenza degli altri, questo continua a essere confezionato soprattutto nelle case.
Arnad ha circa 1300 abitanti distribuiti in circa 570 famiglie e una popolazione di suini che ammonta a circa 250 capi. Non occorre fare conti complicati per stabilire che in media una famiglia su due ha il maiale. È vero che alcuni paesi della Pianura Padana contano un numero di maiali superiori a quello degli abitanti, ma i 250 maiali di Arnad non sono rinchiusi in una porcilaia in campagna, questi sono allevati nelle case rurali del paese in ambienti puliti, di solito in un locale accanto al garage, dove vengono trattati con grande cura e rispetto fino al momento inevitabile del sacrificio.
Il “Lard d’Arnad” deve essere prodotto esclusivamente all’interno del territorio comunale di Arnad con maiali provenienti dalla Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna. I suini devono essere alimentati con castagne, patate e ortaggi senza mangimi né integratori. Devono avere un peso non inferiore ai 160 chilogrammi e può essere utilizzato esclusivamente il lardo del dorso e della spalla, con esclusione del collo e della pancia. Le baffe (è il nome tecnico dei pezzi ancora grezzi) vengono rifilate dalla carne e squadrate a rettangoli piuttosto piccoli e a misura dei doïls, i contenitori tradizionali che una volta erano di legno di castagno, oggi di acciaio o vetro. I doïls devono essere riempiti entro 48 ore dalla macellazione alternando gli strati di lardo con strati di sale pepe, aglio, rosmarino, salvia, alloro, achillea millefoglie, chiodi di garofano, cannella, ginepro e noce moscata. Il tutto deve essere successivamente ricoperto di acqua salata portata fino all’ebollizione con aromi e poi fatta raffreddare.
Una regione inaspettatamente vinicola
Con tutte quelle montagne sembra impossibile. Eppure la Valle d’Aosta è una regione con una produzione vinicola molto ricca. La viticultura è praticata lungo tutto il tratto che va da Pont Saint Martin, al confine con il Piemonte, fino al Monte Bianco. Per arrivare alla coltivazione eroica dell’uva sopra ai 1200 metri che è il record europeo di altitudine.
A questa quota la fillossera, il terribile parassita delle vigne, non riesce a completare il suo ciclo biologico e le vigne sono immuni da questo flagello. Ciò consente di evitare di rinnovare i vigneti innestandoli su piante americane ogni 20-30 anni e coltivare piante “franche di piede”. cioè i vitigni autoctoni non innestati che possono superare i cento anni di vita con una produzione di uve di grande qualità. All’interno della denominazione “Valle d’Aosta Doc” si distinguono più di venti sotto denominazioni. Tutti vini ottenuti da diversi vitigni autoctoni che hanno trovato il loro habitat ideale ciascuno in una piccola porzione di qesta regione dalle condizioni atmosferiche molto mutevoli, con i microclimi che cambiano continuamente passando dal ventoso al siccitoso al piovoso nel giro di pochi chilometri.
Chambave è nota per un grande moscato, lo Chambave muscat, che ha la caratteristica unica di essere lavorato in modo da ottenere un vino secco, non dolce come tutti i vini ottenuti da uve moscato. Dalle stesse uve si fa anche un passito, lo Chambave muscat passito, ottenuto dall’appassimento dei grappoli per novanta giorni. Poi, nelle altre zone sono notevoli il rosso di Nus, il Nus Rouge, ottenuto con il vitigno autoctono Petit Rouge. Sempre nella stessa zona si produce un grande Pinot grigio passito da uve pinot grigio nel clone autoctono Malvoisie, il Nus malvoise. Poi c’è l’Arnad–Montjovet, prodotto ad Arnad e nei comuni vicini, un altro eccellente rosso ottenuto da uve Nebbiolo. Dalle viti coltivate oltre i 1200 metri cosa È il Blanc de Morgex et de la Salle, ottenuto dal vitigno autoctono Priè blanc de la Salle ancora coltivato sotto le caratteristiche pergole in pietra come all’epoca della viticoltura romana. Infine lo straordinario “Vin de glas” o “Eis wine” ottenuto da vendemmie tardive quando il succo zuccherino si congela all’interno degli acini. Le uve vengono raccolte e lavorate sotto zero. Grossomodo è lo stesso processo di concentrazione che subisce il passito ma stavolta è il freddo che concentra e intensifica gli aromi. Il risultato è quello di un molto pregiato e molto apprezzato dagli intenditori.
Il menu valdostano
Fonduta alla Valdostana
La fonduta è una preparazione caratteristica della zona Alpina compresa tra la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Savoia e la Svizzera a base di formaggio fuso servita in recipienti collettivi dove ogni commensale intinge un tocco di pane infilzato ina particolare forchetta dal manico molto lungo e con due rebbi molto appuntiti. Il formaggio cambia da una zona all’altra tranne che in Piemonte dove la ricetta è identica alla valdostana. Va neanche ricordato che nella “Fondue bourguignonne “, malgrado il nome, non c’è formaggio. Consiste in una pentola in ghisa o porcellana (Caquelon) posta su un fornelletto e colma di olio o brodo bollente nella quale i commensali intingono pezzetti di carne.
L’origine della fonduta valdostana non è molto chiara: secondo alcuni sarebbe nata a Torino nelle cucine dei Savoia, mentre secondo Anthelme Brillat-Savarin la fonduta sarebbe di ispirazione svizzera. Pellegrino Artusi, la cita nel suo libro con il nome di “Cacimperio”, Giovanni Vialardi, cuoco dei re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, la inserì nel suo “Trattato di cucina” del 1854.
La ricetta
Ingredienti per 4 persone:
400 g di Fontina
4 tuorli
½ litro di latte intero
50 g di burro
pepe bianco
Tagliate la fontina a fettine sottili e mettetela in un tegame che potrete portare in tavola, copritele con il latte e lasciatele ammorbidire per 4 ore. Mettete il tegame dentro un altro più grande contenente acqua, aggiungete il burro, i tuorli e iniziate la cottura a bagnomaria mescolando continuamente con una frusta metallica o un cucchiaio di legno. È importante non fare mai bollire il formaggio ma tenerlo a una temperatura tra i 65 e i 70 gradi controllando con un termometro a immersione. Prima il formaggio si scioglierà, poi tornerà ad addensarsi. E qui viene il difficile, perché la bagna calda va tolta dal fuoco prima che la fontina torni addensarsi. Servitela caldissima Versatela in un momento di toglierlo dal fuoco , fino a che il formaggio non sia completamente fuso.
Aggiungete quindi, i tuorli d’uovo e continuate a cuocere mescolando per almeno altri 30 minuti fino ad ottenere un composto omogeneo e abbastanza denso, ma non troppo.
Servite la fonduta con dadini di pane sia di segale sia bianco.
La Carbonada
Ingredienti per 4 persone
500 g di manzo (polpa di spalla o sottospalla o scamone)
300 g di cipolle ramate
80 g di burro
1/2 bottiglia di vino valdostano rosso e corposo (Enfer d’Arvier, Chambave rouge)
50 g di farina 00
brodo di carne
1 foglia di alloro
chiodi di garofano
cannella
noce moscata
pepe macinato al momento
sale
Tagliate la carne a bastoncini larghi circa 1 centimetro e lunghi 5. Infarinateli e rosolateli nel burro. Quando sono dorati, toglieteli dal tegame e riservateli scoperti. Nel fondo di cottura fate appassire le cipolle. Quindi aggiungete la carne rosolata, l’alloro, i chiodi di garofano, una spolverata di cannella, il pepe (può essere anche in grani), la noce moscata e il sale. Bagnate con il vino e portate cottura a fuoco lento e tegame semicoperto aggiungendo brodo quando è necessario bagnare. Servitela calda con patate bollite calde o polenta.
Variante: Con vino Bianco di Morgex invece del rosso.